Il codice è codice, si sa. Non è un linguaggio comune e le parole di senso compiuto in esso contenute (for, while e simili) rappresentano un esiguo numero sebbene utilizzato un numero enorme di volte. Poi però ci sono i commenti, che dovrebbero servire da indicazione a quanti guardano la porzione di codice indicata per la prima volta o a chi vi ritorna dopo molto tempo per far mente locale sul perché certe scelte furono prese.
Non di rado i commenti sono piuttosto… Coloriti. Anzi, non nascondiamoci dietro ad un dito, le parolacce la fanno proprio da padrone. Vidar Holen si è persino divertito a creare uno strumento per le statistiche basate su questi dati, precisamente per rispondere a questa domanda:
How many times are words, names or functions found in the Linux kernel source code?
Quante volte parole, nomi o funzioni sono presenti all’interno del codice sorgente del Kernel Linux?
Quindi, parlando di parolacce, quali sono quelle più presenti? Eccovi la classifica:
- crap* – 153 volte
- damn* – 42 volte
- fuck* – 39 volte
- shit* – 33 volte
- bastard* – 11 volte
Sorpresi? Onestamente, noi, non più di tanto
Curiosità a margine: mi sono imbattuto in questo sito per puro caso, mentre ero alla disperata ricerca del perché gli fqdn (fully qualified domain name) della mia rete, correttamente configurati all’interno del servizio bind, per qualche arcana ragione non venivano risolti. Peggio, non arrivavano neanche ad essere richiesti al server bind. Il motivo? Semplicissimo, la presenza del servizio avahi che per agevolare la risoluzione locale dei nomi appende automaticamente “.local” a tutti gli host, con il risultato che se qualcuno compie l’amara scelta di assegnare alla propria rete locale un suffisso .local rimane… Uh… Fregato. Ma questa è un’altra storia, per la quale fortunatamente esiste una soluzione.
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