Oracle e Google sono tornati per la seconda volta sui banchi di tribunale nell’ambito di una disputa sui diritti d’autore iniziata ben sei anni fa.
Riepilogo della situazione
Il colosso americano del software accusa Big G di avere usato parti di Java (creato da Sun Microsystems, poi acquisito da Oracle) senza permesso e l’ha citato in appello per 9.3 Miliardi di dollari. La questione sollevata da Oracle è di fondamentale importanza perchè va a colpire non solo Google ma il modo in cui viene prodotto il software. Oracle sostiene che le sue API sono protette da copyright e non riutilizzabili (nè ripensabili) da Google per lo sviluppo di Android.
Nel 2012, una giuria decise che Google non aveva violato i diritti di Oracle ma poi il caso passo’ ad un altra corte che diede ragione a Oracle. Insomma, una situazione quanto mai intricata.
Da allora il caso non ha fatto altro che rimbalzare da un tribunale d’appello a un altro arrivando brevemente anche sul tavolo della Corte Suprema. Entrambe le società, spiega il Wall street journal, sostengono di difendere l’innovazione. Oracle dice che permettendo a Google di usare gratuitamente Java, scoraggerebbe le aziende di software dal cercare innovazione. Google afferma che pagare una multa salata e le commissioni per la licenza spingerebbe i programmatori a non usare parte del software per creare app e programmi.
Sul tema diversi colossi tecnologici sono divisi. HP, Red Hat e Yahoo si sono schierati con Google sostenendo che Java non può essere protetto dal diritto d’autore. Microsoft invece sta con Oracle.
L’ultimo verdetto
L’ultimo verdetto dà ragione a Google e l’industria del software puo’ tornare a respirare. I giudici affermano che Google non ha infranto alcuna legge e hanno dichiarato “fair” il comportamento della casa di Mountain view. Google puo’ quindi festeggiare la vittoria del primo round, ma Oracle è già pronta a impugnare la decisione dei giudici e il ricorso in appello è dietro l’angolo.
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