Amazon è indiscutibilmente uno top player per lo sviluppo, la distribuzione, ma soprattutto la vendita di servizi informatici. S3 per lo storage e AWS per i servizi cloud sono dei punti di riferimento indiscutibili.
Tra le varie tecnologie offerte – e indispensabili per le applicazioni moderne – ci sono i database. E sì al plurale, perché ne esistono di tanti tipi:
- relazionale (come MySQL)
- chiave-valore (tipo Redis)
- solo memoria (tipo memcached)
- serie temporale (tipo influxDB)
- documentale (tipo MongoDB).
Amazon ne offre (almeno) uno per tipo sopracitato, e specificamente per l’ultimo – il documentale – il 9 gennaio ha lanciato DocumentDB, che promette altissime prestazioni e affidibalità – come sempre, usando AWS -, ma soprattutto con la particolarità di essere compatibile con le API di MongoDB (versione 3.6).
Questo dettaglio permette al database di essere usato come rimpiazzo di MongoDB direttamente, senza dover modificare il software già in uso. E se il vantaggio è ovvio ed enorme per chi volesse migrare la sua infrastruttura su un nuovo DB (gli standard esistono apposta, d’altronde), si apre un piccolo fronte di contrapposizione tra closed-source e open-source.
Infatti MongoDB è open-source, quindi modificabile per le proprie esigenze, e pure libero, quindi gratuito da usare, mentre il servizio di Amazon è completamente opaco: il codice è nascosto, e il servizio gestito completamente, senza alcuna altra possibilità. E il sospetto che sotto ci sia in realtà una versione di MongoDB modificata apposta, e non una riscrittura da zero del codice, diventa abbastanza forte.
Proprio MongoDB, conscia della sua natura infrastrutturale – e quindi normalmente non visibile all’utente finale – qualche tempo fa ha modificato la propria licenza, esplicitando che non è vietato rivendere il DB (magari integrato nel proprio servizio), ma che per farlo è necessario comprare una licenza apposita da MongoDB. Questa scelta è dettata dalla volontà di lasciare libero qualsiasi sviluppo, ma evitare la chiusura completa a prodotto pronto, come sfruttare il risultato del lavoro della community per guadagnare senza contribuire a propria volta.
La pratica di sfruttare le API di un prodotto open-source, reimplementandole in un proprio prodotto rimane in una zona grigia (vedi Oracle vs Google per Java), ma la tendenza di Amazon di replicare le migliori tecnologie per poterle rivendere è piuttosto nota – per quanto ultimamente non manchino esempi di apertura.
Sulla questione si è espresso anche il CEO e presidente di MongoDB, Dev Ittycheria:
Imitation is the sincerest form of flattery, so it’s not surprising that Amazon would try to capitalize on the popularity and momentum of MongoDB’s document model. However, developers are technically savvy enough to distinguish between the real thing and a poor imitation. MongoDB will continue to outperform any impersonations in the market
L’imitazione è la forma più sincera di adulazione, quindi non è così sorprendente che Amazon voglia provare a monetizzare la popolarità e la spinta del modello a documento di MongoDB. Comunque, gli sviluppatori sono abbastanza preparati tecnicamente per distinguere tra la cosa vera ed una banale imitazione. MongoDB continuerà a superare qualsiasi imitazione nel mercato.
Parole che traggono forza anche dalla scelta di Amazon di usare le API alla versione 3.6, di 2 anni fa: nel frattempo MongoDB ha aggiunto molte funzionalità, che potrebbero essere tanto importanti da fare la differenza.
In più, le aziende tendono a diversificare i fornitori, per evitare che il problema di uno diventi il proprio disastro; AWS per cloud, S3 per lo storage, DocumentDB per il database potrebbe risultare molto pericoloso.
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