Ok, il titolo sicuramente avrà fatto rabbrividire i più, ma alla fine sono mesi (se non anni) che spesso potete leggere articoli dal gusto “Microsoft Loves Linux” (e non solo su queste pagine) che non dovreste più stupirvi più di nulla, neanche del contrario.
Qual’è la novità di questi giorni? Beh, pare che Canonical abbia dedicato parte del suo effort nello sviluppo dell’oramai stra-conosciuto Ubuntu in favore dell’integrazione con il sistema operativo Windows.
Microsoft già mette a disposizione diverse immagini preconfezionate nella sua Hyper-V gallery, ovvero un vero e proprio catalogo di sistemi operativi che possiamo facilmente eseguire sull’Hyper-V Manager, il sistema integrato di Windows per l’esecuzione di macchine virtuali.
Seppur Linux fosse già largamente presente, come ben sappiamo quando andiamo ad installare i vari “guest-tool” forniti dai più comuni sistemi di virtualizzazione desktop (Virtualbox in primis), l’integrazione tra l’OS virtualizzato e quello principale è fondamentale: dalla possibilità di accedere in maniera semplice alle risorse di uno o dell’altro, siano essi gli appunti o i file (giusto per citarne un paio), fino alla gestione del metodo di esecuzione (in finestra o a schermo intero), quando i due sistemi lavorano insieme i vantaggi sono decisamente parecchi.
Leggendo il “Report di Utilizzo” relativo ad Ubuntu che Canonical rilascia pubblicamente, salta all’occhio che l’uso di Ubuntu in forma di macchine virtuali è una grande fetta della torta.
E pare che molti utenti virtualizzino il sistema proprio avendo come base Windows e, quindi, l’Hyper-V Manager. Canonical ha lavorato a stretto giro con Microsoft per migliorare l’integrazione dei due OS e creando quindi una nuova immagine Ubuntu 18.04 per la Gallery di Microsoft che migliorasse l’integrazione tra i due; tra i miglioramenti possiamo leggere nell’annuncio ufficiale:
- Migliorata l’integrazione degli appunti
- Ridimensionamento del desktop dinamico
- Condivisione delle cartelle semplificata per il trasferimento di file
- Migliorata l’esperienza d’uso, permettendo al mouse di passare in maniera trasparente tra l’host virtuale e quello reale
Il tutto pare sia stato possibile anche grazie all’effort che Microsoft ha messo nel progetto XRDP, un’implementazione open source del suo Remote Desktop Protocol proprietario.
Ma, leggendo bene le migliorie viene da chiedersi: era davvero necessario mettere risorse per questi risultati? Non è bene o male quello che già facciamo tutti i giorni utilizzando VirtualBox ed Ubuntu “vanilla” come OS guest?
Certo è che il lavoro tra le due società è sempre più a braccetto: dovremo aspettarci grandi rivoluzioni per il 2019?
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